La mattina dopo Lorena non era ancora tornata. Accesi il computer e cercai di tornare sull’indirizzo del blog che avevo consultato il giorno prima. Apparve un messaggio che m’informava che l’indirizzo che cercavo non era valido e m’invitava a controllarne l’esattezza. Insomma, qualcuno aveva fatto piazza pulita del blog, cancellandolo, facendo presumere però che le informazioni che distribuiva potessero dar fastidio. Il mio sospetto che in quel maledetto centro estetico succedesse qualcosa di strano trovava così una conferma.
Decisi di andare a controllare di persona e mi avviai verso la sede dell’istituto più vicina, quella frequentata da Lorena. Il cielo era carico di una nuvolosità inconsistente e dolciastra, che mi fece venire in mente l’aspetto vaporoso della superficie dello strano oggetto che avevo visto tra le cianfrusaglie di mia moglie. La vitalità cittadina pareva essersi ridotta (o era una mia impressione?) e poca gente circolava, ma soprattutto pochissime automobili, forse per effetto delle continue limitazioni alla circolazione che di fatto disincentivavano l’utilizzo e l’acquisto di quel veicolo di uso privato che era stato per decenni simbolo di modernità e di sviluppo.
Mi trovai improvvisamente dinanzi al centro e mi resi conto di non averlo mai osservato bene prima. Era un palazzetto grigio, dalla facciata così liscia da sembrare di plastica, con grandi vetrate e un ingresso che appariva come una grande vetrina. Entrai e cercai di superare la barriera costituita dalla reception, dietro la quale stava una giovane donna dall’aspetto curato ma anonimo, di quelle garbatamente carine, come bambole fatte in serie.
Naturalmente tentò di bloccarmi.
« Lei dove sta andando? »
« Sto cercando mia moglie. »
« Non può vederla ora, stia tranquillo, tra un po’ uscirà da quella porta. »
« Ma io voglio vederla adesso, non potete impedirmelo. »
Mi infilai in un corridoio illuminato da tante luci al neon sul soffitto, luci da ospedale. Mi corsero dietro, ma io fui più veloce, aprii una delle tante porte di quel corridoio, quella da cui un’altra volta ricordavo di aver visto uscire Lorena.
Un urlo mi seguì: « No, dove va? Si fermiiiiiiiiii! »
Così aprii la porta e lo vidi.
Qualcuno mi ha colpito e per un po’ sono rimasto in stato d’incoscienza. Poi mi sono svegliato in una stanza senza finestre. Solo una porta, solo una porta e una musica una musica ossessiva ripetitiva con tante note sempre uguali
Sono qui da tanto tempo ore o forse giorni so soltanto che sono prigioniero qualcuno mi tiene prigioniero contro la mia volontà devo uscire correre alla polizia denunciare ma cosa un centro estetico che fa star bene la gente che rende felici le signore che le trasforma in piacevoli oggetti di desiderio? Denunciare un organismo cibernetico che non può esistere nella nostra realtà un organismo mezzo würstel mezzo diplomatico con tanto zucchero a velo sulla morbida superficie un divoratore ossessivo di grasso o quella cosa che ho visto o meglio intravisto quella mostruosità quell’osceno mostro dalle mille appendici quell’osceno oggetto da incubo?
Ho visto oppure ho sognato.
Infatti sembrava proprio un sogno
un’impossibile osceno sogno
Quell’immagine appena intravvista quei visi dall’espressione estatica, quei corpi di donna avvinghiati a una mostruosità, a qualcosa d’indefinibile, uniti da un unico piacere, da un’unica struttura capace di dare una soddisfazione piena e assoluta, qualcosa che nessun uomo sarebbe in grado di provocare, qualcosa che è in grado di aderire con tutta la sua materia alle loro parti sensibili, inesauribile come una macchina, dolce e potente come un giovanissimo amante.
Tutte quelle donne, abbandonate, perdute, e tra loro, lontanissima e dimentica del mondo e della nostra vita, la mia Lorena, con gli occhi sognanti rivolti a un cielo inesistente.
Dormo o forse qualcosa mi fa dormire su questo pavimento morbido che sembra un immenso materasso collocato sopra un immenso letto.
Vorrei urlare, far sentire al mondo che qualcosa sta succedendo, che tutto non è così bello e piacevole come appare. Ma la voce non vuole uscire. Certo mi hanno somministrato qualcosa mentre ero in stato d’incoscienza. Cerco di avvicinarmi al muro bianco, ma i miei movimenti sono come rallentati, come se il tempo scorresse con un ritmo diverso. Il muro è soffice e cedevole, ma resistente, non mi consente di sottrarmi alla forma che avanza, senza fretta. Ora è a pochi centimetri, le sue ali (non saprei come definire quelle forme chiare, sinuose e avvolgenti) si muovono per stringermi in un abbraccio morbido.
Qualcosa che sembra un braccio si muove e mi raggiunge. Mi sento toccare, pizzicare, poi è come se un flusso, se un fluido penetrasse nel mio corpo, qualcosa che mi dà una strana serenità, una pace innaturale. Provo il desiderio di abbandonarmi – sentimenti di supremo piacere si diffondono mentre mi sento sempre più incapace di resistere, di muovermi, di ragionare.
C’è tanta luce, suoni, ancora suoni.
Dal televisore che si è acceso su una delle pareti della stanza un viso femminile dolcissimo trasmette messaggi di pace e il canto il canto da dove arriva il canto che proviene dall’ambiente di un bianco assordante – Ma forse allora questo è il paradiso – il pa-ra-di-so.
Ma…. 😦
Siamo già dominati dalle nostre creature, stileminimo, e non ce ne accorgiamo. Anzi spesso ne siamo felici e pensiamo di vivere in paradiso.
Oddio che spavento! Ti riferisci al credito a consumo? 🙂
ecco perchè mi sento sempre tanto inquieta.. in questo paradiso. 😦
🙂 leggevo e pensavo alle scene descritte ne La fabbrica delle mogli, solo che lì, la storia si sviluppa dal Circolo degli uomini. Insomma, tra te e Ira Levin, capisco che dobbiamo stare lontani dai ritrovi vari, possono nuocere gravemente alla salute, meglio le piazze e le campagne.
…ma come va a finire?!
Che forse Revealer88 aveva ragione. Ci stiamo costruendo un paradiso artificiale; solo che nei paradisi, si sa, di solito per arrivarci si muore
una meraviglia!
hai saputo superare completamente la banalità che, secondo me, era in agguato.
io sapevo che da te c’era da aspettarsi qualcosa di “diverso”, di valido.
qui hai fatto centro… in pieno!
complimenti.
gb
Grazie, gb; ho fatto centro perché mi alleno. La scrittura è una specie di tiro a segno.
La scrittura è una specie di tiro a segno. Non sono completamente d’accordo con te.
L’allenamento conta. E’ vero, ma se manca il talento naturale, si possono fare esercizi per tutto il tempo… non verrà mai fuori un racconto come il tuo!
Qui si incontra quel quid che differenzia te da un qualsiasi altro scrittore di racconti del web che non sa comunicare o che parla di totali banalità…
Ho letto dall’inizio: c’è un crescendo di tensione che trasforma l’ironia prima in disagio, in perplessità, poi in ansia e infine in un’oasi-limbo bianco, aperta ad ogni interpretazione.
Si entra lentamente in un processo di colonizzazione.
(grazie! sei un narratore molto avvincente)
zena
Grazie a te, Zena. Credo che prima o poi verremo colonizzati da qualcuno, perché le ruote della storia girano. Spero solo che non ci vendano come schiavi
un bel racconto! complimenti!!!
Claudio
Grazie, Claudio
Si ha l’impressione filmica di entrare dentro un incubo.
La tua narrazione cavalca l’ossimoro di penetrare la mente in maniera piacevolmente pericolosa e l’uso dell’aggettivo così asciutto e mai ridodante aumenta l’intento visionario del tuo dire.
Mi è piaciuto molto.
grazia
Sono lieto che ti piacciano, Grazia, questi miei piccoli incubi quotidiani, che nascono immagini, da ricoprire di parole. Mi piacerebbe che qualcuno un giorno decidesse di filmarli. Ho ancora in mente Ai confini della realtà (The Twilight Zone), la famosa serie americana iniziata nel 1959, in cui Rod Serling, con l’aiuto di sceneggiatori cone Matheson e Bradbury, proponeva storie di confine, in cui il quotidiano incontrava l’impossibile.
sai far scivolare i tuoi incubi quotidiani da immagini in parole che hanno la capacità di far vedere.
il lettore è quasi davanti ad uno schermo.
sarebbero da filmare i tuoi incubi quotidiani. sì.
mi è piaciuto molto tutto… anche la tua prosa che scorre veloce…
quando il quotidiano incontra l’im-possibile…
Sta a vedere che mi tocca anche imparare a fare il regista. Ma purtroppo di tecnica cinematografica ne so ben poco.
“Ma purtroppo di tecnica cinematografica ne so ben poco.”
Tu scrivi, Guido.
Devi imparare allora!
Secondo me saresti un bravo regista cinematrogafico che sviluppa una storia che parte dalla quotidanietà ed arriva all’incubo.
Coraggio!
E’ il procedimento che usava Hitchcock, Torrente. Non mi dispiacerebbe proprio per niente. Ma la regia è un mestiere che s’impara da giovani. Alla mia età è meglio limitarsi a fare quello che si sa fare e già quello è abbastanza difficile
tornerò con calma a leggere
a presto
Com’è facile in fondo rendere schiavi gli umani… basta ottundere loro la mente e per far questo il metodo più immediato è quello di offrire la sensazione dell’estasi al corpo… ecco perché lo scenario che prospetti è più reale di quanto si possa credere…
un abbraccio
Prima o poi ci capiterà di venire rimpiazzati, soprattutto se non saremo abbastanza veloci ad adattarci a condizioni ambientali da noi create e a noi ostili. Topi? Macchine? Formiche? Mi auguro solo che abbiano il senso dell’umorismo che hai tu, almeno un poco.
Sul senso dell’umorismo non garantisco. Di solito le macchine prendono le cose molto sul serio. I topi non so!
Guido, sei latitante da troppo tempo!
Io sento la mancanza del tuo scrivere “diverso”, della tua ironia che graffia.
Sono in crisi di astinenza!
Help!
Qualcosina sono riuscito a postare, alla fine; ma è un post di attualità. Per la narrativa e la poesia mi sto organizzando.
Sono felice che tu sia ricomparso.
Sei un blogger che mi dice sempre molto.
Presto leggerò ciò che hai postato!
Ho dato un’occhiata veloce ai tuoi due nuovi post!
Molto interessanti.
Accidenti, la fretta di queste settimane! Mi ero perso proprio il finale! 😮 Una visione e un finale da incubo, non c’è che dire! 😛 Da autentico horror! 😉
http://www.wolfghost.com