Sentivo urlare. Doveva essere una delle ragazze. Forse aveva bevuto troppo e stava male.
Un ragazzo grosso si volse verso di me e mi disse: E’ una che ci sta, te la puoi fare anche tu.
Mi spinsero avanti e mi trovai improvvisamente al centro.
C’erano dei ragazzi per terra e una ragazza distesa che si agitava.
Non potevo muovermi. Quasi non capivo. Mi pareva assurdo quello che stava capitando.
Uno dei maschi teneva una torcia, per illuminare la scena.
La ragazza urlava e qualcuno cercava di farla star zitta. Le tenevano le braccia, mentre uno dei ragazzi le stava sopra e si muoveva. Era così che si faceva l’amore?
Poi si staccò e un altro si fece avanti, ma non lo vedevo bene. Quella che vidi bene fu la ragazza, la sua faccia, le sue gambe che si sollevavano cercando un’impossibile via di fuga.
Cominciai a desiderare di essere anch’io uno di quelli che usavano la ragazza, ma in quel momento non riuscii ad avvicinarmi, a toccarla. Eppure era un’occasione che mi si offriva, un’occasione di fare qualcosa che avevo tanto desiderato, tanto immaginato, anche nei miei sogni ad occhi aperti. Ma l’agitazione che provavo era talmente forte da bloccare ogni mia capacità di agire. Si sa che il momento dell’azione è breve e se si è indecisi, timorosi, insicuri, subito qualcuno più spavaldo subentra e ti sottrae la scena.
Improvvisamente vedo al mio fianco Angelo, che mi tira per un braccio. E’ il più maturo dei miei amici, ripetente da una vita, ma con un po’ di cervello in più rispetto a noi ragazzini.
Dai, andiamocene, mi dice. Mi spinge nella sua macchina, una vecchia giardinetta. Io sono ancora istupidito; mi sembra di non capire bene cosa sia successo. La birra mi ha annebbiato il cervello. Nient’altro, mi sembra. Non girava erba a quei tempi, ma non posso esserne sicuro. Guardo i cespugli che scorrono, la strada bianca di polvere. Così almeno la ricordo, bianca. Allora c’era, la luna!
Angelo mi scarica a casa. Non è successo niente, dice. Apro il cancello e mi trascino fino al portone. E’ tutto buio. La casa dorme, non mi accoglie, ma nemmeno mi rifiuta. Non c’è nessuno a chiedermi come mai sia ritornato a quell’ora. Il letto è preparato. Sollevo il lenzuolo e m’infilo dentro. Non riesco più a pensare a niente.
L’indomani ho la testa pesante. La mamma mi chiede:
Ti sei divertito ieri notte
Sì
E cos’avete fatto?
Il bagno di notte.
Al buio?
No, c’era la luna.
Ah sì: è vero che c’è la luna!
E poi?
Vorrebbe sapere tutto, vorrebbe essere stata con me, vivere la mia vita, conoscere tutte le cose che non sa, vivere tutte le esperienze che non ha vissuto.
Mio padre mi fissa con lo sguardo cupo. Non è uno che parla molto, ma capisce quando un ragazzo ha bevuto troppo, lo vede dalla faccia, dagli occhi.
Poi abbiamo giocato sulla sabbia.
E’ vero abbiamo giocato, ma qualcuno ha fatto degli strani giochi.
Perché sono andati così avanti – perché hanno deciso di giocare pesante?
Quel viso arrossato, alla luce della torcia.
No, basta!
E pensavo a com’erano strane le donne, con quella fessura in cui si doveva entrare per dimostrare di essere uomini, quasi un dovere. Con quel corpo che avevo visto per la prima volta com’era veramente. Così roseo e luminoso nel buio, alla luce di quella torcia.
Nessuno ha mai parlato di quello che capitò quella notte. La ragazza non disse niente. Era una che non aveva una gran bella fama. Magari aveva pensato di appartarsi con un suo amico, ma non pensava di dover soddisfare una banda di scapestrati. Nemmeno loro erano studenti modello. Qualcuno aveva già smesso di studiare e lavoracchiava come manovale o si arrangiava in qualche altro modo. Ma erano cose che succedevano da tutte le parti. Si sapeva!
Quell’esperienza mi aveva lasciato una sorta di agitazione interna, che mi tenne compagnia per vari giorni. Non capivo se ero tormentato dal rimorso per non aver subito denunciato il fatto, o dal rincrescimento per essermi fatto sfuggire l’occasione per realizzare finalmente quell’esperienza di vita che chissà quando avrei potuto fare. Ero combattuto tra diverse forze e non sapevo bene come comportarmi. I miei amici mi parlarono e mi consigliarono di non far cenno di niente. Se si finiva davanti ai carabinieri, poi non si sapeva mai cosa sarebbe potuto succedere. Ognuno di noi avrebbe potuto essere accusato delle peggiori azioni. Poi erano tutti abbastanza sbronzi per ricordare una cosa per un’altra e, magari, accusare proprio chi non c’entrava, uno che stava lì per caso. Nessuno dei compagni si fidava dei carabinieri: meglio non averci a che fare!
Così non ho parlato, allora, di quello che ho visto, di quella ragazza dal viso arrossato dalla rabbia o dagli schiaffi, della vigliaccheria di quelli, me compreso, che avevano assistito allo spettacolo senza intervenire per interromperlo. Avevo bevuto; avevano bevuto tutti, anche le ragazze. Chi era responsabile?
Chi aveva il coraggio di affrontare i carabinieri, che fanno passare per colpevole quello che denuncia o magari la ragazza stessa, colpevole di essersi offerta, di aver provocato i suoi compagni, così mezzo nuda com’era? No, non si poteva raccontare niente, allora. Perciò non dirò nulla adesso: non avrebbe più senso, sarebbe una confessione inutile, come scaricarsi addosso una carrata di letame. Meglio guardare la luna e far finta che tutto vada bene, anche se la luna che vedo adesso sembra proprio un’altra luna.
…”sono cose che accadono da tutte le parti. Si sapeva”… lo si sa. E nessuno disse niente… e nessuno dice niente!
Meglio non crearsi problemi, insomma!
I problemi nel protagonista del tuo racconto sono rimasti profondi in lui!
Purtroppo fatti del genere accadevano, accadono e nessuno parlava, parla.
Stavano, stanno zitti tutti!
Talvolta si rompe questo muro di ipocrisia. “Talvolta” è troppo poco.
Sono poco d’accordo… con il “meglio non crearsi problemi”.
bello guido… una seconda parte che non mi aspettavo, non così… oggi c’è solo la cronaca per certe cose, quando invece dietro c’è sempre molto altro, e qui c’è, la cronaca è comoda perchè la si può risolvere sempre con le stesse parole, ci sono le parole giuste per ogni cosa, tu per fortuna hai usato le parole sbagliate
Penso che la narrativa non debba imitare la cronaca, ma arricchirne le tematiche, utilizzando modalità che conducano a una migliore conoscenza dei fatti, attraverso parole meno banali e consumate di quelle del gergo giornalistico. Altrimenti, rinunciamo alla letteratura una volta per tutte e lavoracchiamo alla cronaca locale di qualche giornale, magari in provincia, sperando di imbatterci in un fattaccio o in qualche scandaletto, almeno ogni tanto.
ovvio, ma tu sai che non è sempre così,e non è solo una questione di parole ma di modi di vedere le cose, e spesso succede di appiattirsi sui modi più consueti e più facili
Troppo spesso!
gb
Bello, Guido. Bello davvero. Bello.
Io, conoscendoti, mi aspettavo qualcosa di “inaspettato”.
Non così.
Sei entrato profondo, hai scavato, hai scavato.
Hai raccontato non la cronaca di un episodio terribile, ma la vera storia.
E, mentre la cronaca si può sistemare con parole apposite, la storia vera no.
“Quel viso arrossato, alla luce della torcia.
No, basta!”
Un’altra luna!
Sì.
gelsettina
Perfetti il video e la musica.
“Accadde così”
E quel rumore delle onde del mare…
Dentro ci sono le immagini, viste con la mente, anche se immaginarie, ma anche qualche piccolo pezzo di verità. Chi scrive un pezzo di cronaca non può indagare sui sentimenti, sulle motivazioni; deve limitarsi allo sdegno o allo scandalo, non può fare di più. In fondo uno scrittore è molto meno condizionato. Può sempre raccontare una sua verità, anche se scomoda.
Lo scrittore racconta la sua verità, anche se scomodissima.
Tu sai raccontare la tua, Guidoscrittore, in modo notevole.
gelsettina è felice nel leggerti e ,come ha sempre fatto, ti dice: “continua, continua, continua a scrivere” “continua a fare ciò che ti piace anche nella musica”
P.S. Attenzione! C’è qualcosa che non devi più proporre, Guido.
Tu sai a che cosa io mi riferisca. E ti sorrido. 😉
Un racconto “forte”, accaduto molte volte nella realtà. “Ieri” quasi sempre finiva così: tutti zitti, le donne per la vergogna o la paura, i testimoni per non venire coinvolti e perché, in fondo, pensavano fosse una cosa che “potava succedere”. Oggi, credo e spero, è più rara unatale omertà, ma comunque ancora troppo diffusa.
Ma… la canzone è tua?? 😮 Splendida! E che bell’uso della chitarra! 😀
http://www.wolfghost.com
La paura del coinvolgimento esiste ancora, molto forte. Diventare testimoni è spesso una disgrazia, e ci colloca in una dimensione scomoda e rischiosa. In un paese in cui il sistema incoraggia di fatto l’omertà e criminalizza, se può, il testimone, è già un miracolo che qualcuno parli. Mettiamo che il nostro eroe avesse denunciato il fatto; cosa sarebbe potuto accadere? Presumibilmente avrebbe subito un pestaggio da parte dei criminali responsabili, forse qualcuno di loro l’avrebbe accusato di aver partecipato allo stupro e forse avrebbe avuto credito. Insomma, la sua vita sarebbe stata rovinata, per aver avuto la disgrazia di essersi trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Così vanno le cose, a meno che il testimone non sia batman o robocop e non sia in grado di far fuori i cattivi a suon di pugni, salvando le vittime, come nei migliori fumetti della Marvel.
La musica è quella che tanti noi facevano in quegli anni. Un pop semplice, senza pretese. La chitarra avevo imparato a suonarla da poco; di solito suonavo il piano o la farfisa (quando se ne trovava una).
Ho sempre creduto che nelle violenze di gruppo qualcuno ne resti coinvolto suo malgrado, perché in quel momento non riesce a sottrarsi, a ribellarsi. Si avverte chiaramente nel tuo testo lo smarrimento e la delusione di non avere la forza e la maturità necessaria per denunciare quello che pensava non gli appartenesse, ma è chiaro anche per lui, oramai, l’aver varcato la soglia della complicità. Diventare uomini è un lungo percorso fatto anche di scelte impopolari e rischiose ma te ne accorgi sempre troppo tardi.
Come ho risposto a wolfghost, bisogna avere la fortuna di non trovarsi mai coinvolti in casi del genere, soprattutto evitando le compagnie pericolose. Solo che per un adolescente spesso la cosa è praticamente impossibile e, se è uno si sente debole, fisicamente e spiritualmente, la scelta del silenzio è quasi obbligata. Eroi, in definitiva, ce ne sono pochi. Certo, se qualcun altro comincia a parlare, magari poi il coraggio arriva, anche per sottrarsi al sospetto di essere complici. Di solito, poi, il fatto scompare nel nulla.
Un racconto struggente che mi ha fatto ripensare all’ “etica della responsabilità “, fulcro di questo tuo raccontare con allure volutamente pacata, pur esprimendo un’avventura terribile. Il canto della tua voce adolescente – nel video musicale – regala una nota accorata a questa scheggia di passato che ti ha trafitto l’immaginario di raffinato scrittore, coinvolgendoci nel profondo.
A distanza di tempo, Grazia, posso solo felicitarmi con il destino per non avermi fatto scontrare con situazioni “difficili”. Forse eravamo veramente tutti dei bravi ragazzi, a quei tempi, e gli stessi bulletti che conoscevamo non erano più pericolosi di Fonzie. Solo più tardi i tempi sono cambiati, ma forse non dalle mie parti. Lì si è conservato per decenni il mondo di Amarcord e forse nemmeno oggi la vita è molto diversa, o sono io che mi illudo che tutto sia ancora come prima.
La luna che tradisce l’uomo, che fu testimone del ragazzo e delle sue pulsioni contrastanti.
Non posso addentrarmi più di tanto, perché questo maledetto fatto è per me una rievocazone insostenibile.
Allora non si denunciava, è vero, soprattutto la vittima non denunciava: la colpa sarebbe stata sempre e solo sua.
Però mi sconvolge la doppia natura emozionale del protagonista, la sua consapevolezza che avrebbe voluto partecipare, malgrado sapesse che ciò cui stava assistendo fosse così terribilmente disumano.
Ma è sempre un piacere leggerti.
cb
I miei personaggi, Cristina, hanno spesso un’ambiguità di fondo. Non sono buoni, né cattivi. Sono l’esatto contrario degli eroi del romanzo popolare. Lo stesso concetto di bene e male, a volte è sfumato. Il mio è un universo senza dogmi, dove vigono regole che siamo in grado di conoscere e dominare solo in parte. Le spinte emozionali del protagonista del racconto sono contrastanti, perché contrastanti sono i messaggi, i condizionamenti sociali e culturali cui è sottoposto. Questo pensare contraddittorio, che si esprime in un agire incerto, finirà per riflettersi nella sua vita, minando anche le sue relazioni umane e sentimentali. Si potrebbero raccontare altri episodi di questa vita, si potrebbe descriverne l’insoddisfazione, l’inadeguatezza. In parte l’ho fatto, con altre storie e altri personaggi.
“Questo pensare contraddittorio, che si esprime in un agire incerto, finirà per riflettersi nella sua vita, minando anche le sue relazioni umane e sentimentali.”
E’ così.
Tu hai saputo far vivere in modo terribile questo modo di essere del tuo protagonista, Guido.
E comprendo bene anche le parole di Cristina Bove che è sconvolta dalla “doppia natura emozionale del protagonista”.
Talvolta il nostro vissuto ci opprime profondamente.
E’ un piacere per me leggere due persone che sanno parlarsi, come Cri e Guido.
gb
quante cose vede la luna da lassù e tace, non è mai la stessa perché ha dentro il dolore di chi la guarda e in un modo o nell’altro glielo confida
lettura molto coinvolgente
Mai vista una luna che fosse uguale a un’altra, ventisqueras!
Mi ci son trovata e MAI vorrei essermi trovata al posto tuo; tant’è che non me ne ricordavo quasi più. Però forse è per quello che in casi di sospetta violenza sono intervenuta. Chissà se lo farei ancora… si cambia, a volte in peggio.
Per mia fortuna la storia è totalmente inventata, tranne il bagno di notte, che era di moda. Erano tutti bravi ragazzi dalle mie parti!
Potenza del tuo stile. In effetti nella mia testa avevo scritto ‘…al posto SUO’ (dell’io narrante) !