Davanti a me, questo pomeriggio, sempre nella mia metro, una giovane coppia, ragazzo e ragazza.
Si assomigliano abbastanza, hanno entrambi un viso ovale, anche se la ragazza ha il naso più sottile e lievemente inclinato all’insù. Veste una sorta di cappotto nero e dei jeans e tiene con la mano destra una borsa dai disegni marrone, ma con inserti in pelle che sembrano neri.
Anche il ragazzo è vestito in modo semplice e sportivo, ma senza trasandatezza; intreccia le mani eleganti e parla con lei pacatamente, senza eccedere nella gestualità.
Lei guarda un fazzolettino di carta disteso sul pavimento del vagone e sporcato dai segni delle scarpe dei viaggiatori. Col vento che entra dagli sportelli abbassati il fazzolettino si anima, si agita e viaggia anche lui passando davanti alla giovane.
Lei ha una mano abbandonata sulle gambe, una bella mano, dalle lunghe dita levigate; lo sguardo è vivo e curioso. Il viso è appena segnato da lievi solchi orizzontali od obliqui, sulle guance, che sembrano e fanno pensare ai baffi di un felino disegnati artificialmente sul volto di un’attrice.
Chissà perché, guardando la coppia, che sembra molto affiatata, mi viene da pensare a Il bacio della pantera, al rapporto incestuoso tra i membri del cat people.
Ma forse sono proprio fidanzati o giovani sposi; dei loro figli nessuno potrà sostenere che assomiglino al padre piuttosto che alla madre, tanto i due sono simili.
Dall’altro lato della porta due ragazze, molto normali, dall’aspetto pulito, normalmente carine. Una ha una tuta ed è una di quelle persone che ci si aspetta di trovare in un campo di atletica: un viso magro ma tondeggiante, piuttosto grazioso. L’altra mi guarda e dall’espressione del viso sembra quasi riconoscermi. La guardo più attentamente, poi faccio finta di niente, per non metterla a disagio. Non ho mai visto in vita mia quella faccetta magra e quadrata, ma forse sono io che le ricordo qualcuno.
Mi alzo perché devo scendere e cambiare percorso e lei continua a fissarmi, ma è come se vedesse un fantasma.
Forse sembro veramente un fantasma, perché dopo tre giorni di accoglienza in Fiera, e dopo una notte passata quasi in bianco per colpa dell’abuso di nutella del pomeriggio di ieri, devo essere stravolto, così da assomigliare a un altro, a quell’altro che forse aveva con lei un rapporto di amicizia o di carattere meno sereno, a giudicare dalle sue occhiate stupite e quasi impaurite.
Così, finalmente, la fiera è finita, un salone che forse è servito ad avvicinare qualche cittadino alla pubblica amministrazione, a far capire che tante persone lavorano per tutti e spesso lavorano bene; ma quanto sarà costato tutto questo? E chissà cosa avranno capito i ragazzi delle scuole, quei ragazzi dallo sguardo perso nel vuoto e dall’andare depresso, trascinati da insegnanti che non capiscono il termine biblioteca e che lo traducono in videoteca, perché anche loro sembrano contagiati dall’atmosfera di ignoranza dilagante che pervade tutto e tutti, in un grigiore che s’intona perfettamente con l’ambiente color nulla delle strutture della nuova Fiera di Milano e con il colore del cielo, di un fumoso sfumato, con l’odore acetoso della plastica, dei legni trattati e delle vernici che si diffonde nei padiglioni, luminosi e accoglienti, ma così lontani dal mondo reale.
Non sono mai stata al polo fieristico di Rho; dalle fotografie pare molto bello. La vecchia fiera di piazzale Amendola, quella, la conoscevo bene; ma non riesco più a dissociarla dal racconto di Fantozzi che ci va in pullman coi colleghi!