“Zittelle” e “simie”: lo strano mondo di Landolfi

zittelle

La parte iniziale di questo celebrato racconto di Landolfi è a dir poco fastidiosa. Qui l’autore porta avanti in modo sempre più evidente la sperimentazione del suo linguaggio arcaizzante e il suo narratore onnisciente è decisamente sovraesposto e invasivo. Il procedere sussultorio scoraggia la lettura e l’impressione che se ne ricava è quella di una creazione scherzosa e priva di contenuti che possano emergere dal compiacimento formale. Invece, quasi senza preavviso, dall’enunciato apparentemente giocoso, che peraltro non risulta neppure troppo divertente, emerge una delle più robuste creazioni della nostra recente tradizione letteraria. La discussione, che diventa processo, sul blasfemo comportamento della “simia” Tombo, che è lo sciagurato reale protagonista della vicenda, si trasforma in una delle massime esposizioni filosofico-teologiche della nostra realtà letteraria. L’eretico “avvocato” della “simia”, il giovane Padre Alessio, con le sue posizioni panteiste, con i suoi ragionamenti degni della filosofia umanistica, con una sorta di coincidentia oppositorum cusaniana, diviene un accorato esponente di una critica radicale al tradizionalismo religioso, a quello di ogni religione rivelata e ai suoi dogmi e tradizioni. Per chi parteggi il narratore è evidente, come è evidente la sua rassegnazione alla sconfitta. Così vanno le cose del mondo e il narratore-autore Landolfi, spesso considerato come un laudator temporis acti, si rivela al contrario un pericoloso contestatore dell’autorità e della tradizione. Un libro di grande spessore, malgrado le sue ridotte dimensioni, un’opera da leggere, anche se certamente Landolfi sappia essere anche altro, cioè il creatore di un mondo allucinato e romantico, sia pure intriso di una vis ironica travolgente e godibile, al di là dei preziosismi lessicali che tanto piacevano ai critici di una volta.