Marinetti e l’alcova d’acciaio

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L’estetica prevale sulla vita. Le parole, il loro affastellarsi, il loro artistico irraggiarsi, l’esplosione di suoni, di colori seppelliscono l’umanità dei comportamenti. Il vivere diventa un esagerato sghignazzare o un indecoroso frignare, il mondo finisce con un piagnisteo, come in Eliot. Lo spirito goliardico, trasportato in un ambito militaresco e solo marginalmente patriottico, è dominante in questo scritto. Perché nulla ha più veramente valore, al di fuori di un’esistenza bordellesca e di un’artisticità oltreumana. Nulla di serio e concreto. Nulla da costruire al di là dell’arte. La morte ride, la guerra ride, in una sfavillante apoteosi della distruzione. La gente è un gregge da macellare, purché la macelleria sia ricondotta a dimensioni estetiche.

Crudeltà goliardica e disumanizzazione estetica. Altro che humanitas: qui siamo di fronte a una viulenzaaa abatantuonesca. Non per nulla, in tempo di pace, lo spirito bellicoso delle masse orfane dell’esaltazione guerresca si esprime nell’oltraggiosa violenza degli ultras delle curve calcistiche. Ecco che si cerca un nemico che non c’è: il negro, l’ebreo, il nemico del club avversario, il condomino che non differenzia, il runner che non rispetta ordinanze e decreti. Marinetti anticipa a suo modo un pensiero destinato a un’ampia diffusione, in ogni categoria sociale.

L’alcova d’acciaio, più che un romanzo, è un insieme di episodi in qualche modo legati alla storia della Grande Guerra. Interessante è la rappresentazione dell’avventura bellica fatta dall’interno, anche se un po’ troppo autocelebrativa. Si tratta comunque di una testimonianza, che evidenzia mentalità e spirito del tempo e  che mette in rilievo momenti e avvenimenti minori, intrisi di esaltazione e spavalderia, che non costituiscono solitamente oggetto di considerazione storica.

Marinetti vive la sua guerra da privilegiato, tra avventure erotiche e combattimenti vissuti come gare sportive. Una strana guerra la sua, più occasione di vita mondana e di esibizione individualistica che sacrificio e abbrutimento, in cui i personaggi affondano nel macchiettismo, sia pure temperato da una vivacità realistica.

Nel finale esplode l’epifania di una natura antropomorfa, in cui la trasfigurazione lirica prevale sull’esigenza narrativa: un modo come un altro per chiarire che per l’autore Marinetti la letteratura è sempre più importante della vita e che magari è la vita stessa e la sola sua ragione d’essere.