Ho sempre trovato disturbante la canzone di Marinella. Mi irritava il décor fantastico, legato alla fase medievaleggiante di De André, mi irritava l’eccesso di liricume e lo sfruttamento commerciale del legame amore-morte, tipico dello spirito romantico.
Tanto mi disturbava Marinella che ho voluto rispondere con un’altra canzone, realistica e antilirica, imbevuta di spirito noir, più contemporanea e “francese”. Il nome era quasi uguale, Marinette, e la persona che vi era rappresentata faceva parte di quel genere di donne che mi era capitato di conoscere tra i fumi e le luci dei night-club, quando, giovanissimo, mi impegnavo a suonare il piano e cantare in quei locali.
Adesso, se la risento, Marinette mi disturba almeno quanto Marinella, anche perché ormai tanto tempo e tanti stili sono passati: il finto medievale è stato sepolto da altre mode, nel pop come in letteratura e nel cinema. Oggi non sono più i tempi di Casablanca, di 007, del terzo uomo, ma nemmeno quelli del postmoderno, ormai spazzato via da nuovi fenomeni. C’è troppa musica di consumo, troppa narrativa di consumo, troppe parole che sovrastano la musica, troppe immagini che sovrastano le parole, troppe serie tv, troppa filosofia e fisica dell’incertezza, troppe notizie, troppa guerra, troppa violenza gratuita che diventa spettacolo per i telegiornali e i talk show. Non è più tempo di marinelle e marinette. Ormai spero di risvegliarmi in una nuova vita, in qualche diverso pianeta, perché questo ormai comincio a sentirlo stretto e inadeguato.